12/07/2022
Chatbot e bugie

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La disonestà è tutt’altro che un fenomeno nuovo su questi schermi, ma lo è sicuramente all’interno del monitor di un pc o di uno smartphone: mano a mano che i moduli on line e le altre interfacce di gestione del customer service diventano sempre più automatizzate e che i processi si fanno sempre meno personali, ecco aumentare la percentuale di utenti (e clienti) che mentono ad una chatbot on line anche solo per risparmiare un euro.
Non ci credi?
Chi imbroglia di più
Una ricerca del team Harvard Business Review ha condotto una ricerca basata su due semplici esperimenti: un ricercatore ha chiesto ad un gruppo di partecipanti di lanciare una moneta 10 volte e ha detto loro che avrebbero ricevuto un premio in denaro a seconda dei risultati.
Ad alcuni, è stato chiesto di riferire i risultati del lancio della moneta al ricercatore tramite videochiamata o chat, mentre ad altri è stato riferito di comunicarli tramite un modulo on line o una chatbot.
Il risultato è stato che in media, quando i partecipanti hanno risposto ad un umano, hanno riportato il 54,5% di lanci di moneta riusciti, corrispondenti ad un tasso di imbroglio stimato del 9%.
Al contrario, quando hanno riferito a una macchina, hanno barato nel 22% dei casi.
Il principale meccanismo psicologico che guidava questo effetto era il livello di preoccupazione dei partecipanti per la loro reputazione personale: in pratica coloro che avevano riferito i loro lanci ad una macchina si sentivano molto meno vicini al ricercatore, e di conseguenza molto meno preoccupati per la loro reputazione personale rispetto a quelli che avevano riferito al ricercatore.
E’ chiaro che gli strumenti digitali rendono l’imbroglio molto più diffuso.
Come attenuare il problema
La buona notizia è che mentre non si può eliminare la disonestà, è possibile invece prevedere chi è più propenso a mentire ad un robot e quindi spingere questi utenti ad usare un canale di comunicazione umano.
Le persone che hanno maggiori probabilità di imbrogliare cercano infatti proattivamente di evitare situazioni in cui devono farlo a una persona, presumibilmente a causa di una consapevolezza conscia o subconscia che mentire ad un umano sarebbe psicologicamente più sgradevole.
Chatbot umanizzate
Questo tuttavia va contro la tendenza di utilizzo delle automazioni che sta prendendo piede in tutte le strategie, dove le chatbot sono sempre più diffuse nel customer service e le aziende cercano di “umanizzarle” dando loro un nome, un avatar e addirittura una biografia.
Questo per riuscire in effetti a velocizzare o rendere molto più efficace ed efficente, riducendo i tempi di attesa, il proprio servizio post vendita filtrando le richieste e/o mantenendo attivo un canale di dialogo con il cliente h24 senza gravare ulteriormente sul costo del personale con straordinari o reperibilità.
Il problema però, è che più un bot assomiglia ad un umano più il cliente si aspetta che risolva il problema e quando ciò non avviene il cliente irritato desidera punire l’azienda. Anche mentendo.
Quindi? Eliminiamo i bot?
Come in quasi tutto, la verità sta nel mezzo.
La chatbot è sicuramente utilissima per riuscire a filtrare le domande più ricorrenti e umanizzarla rende prima di tutto più facile l’interazione anche agli utenti meno digitali.
Il rapporto diretto con le persone, però, va calibrato all’interno del funnel per supportare il dialogo nei casi dove è necessario ristabilire un equilibrio dando quindi sempre facoltà di scelta.

Alessia Grandis
CEO Open Service Srl